Perché gli Instant Article di Facebook stanno perdendo terreno tra i publisher

La spinta degli Instant Article di Facebook rischia di spegnersi singhiozzando.
Molti editori sono profondamente insoddisfatti della monetizzazione su queste pagine, partner importanti come il New York Times hanno già gettato la spugna e molti altri hanno decisamente diminuito la quantità di contenuti spinti tramite la piattaforma. In risposta, Facebook ha allentato la presa concedendo maggiori libertà agli editori, comprese nuove opzioni di abbonamento, in una rara dimostrazione di debolezza da parte del colosso di Menlo Park. Il Times fa parte di un gruppo elitario di editori che è stato regolarmente “sfruttato” da Facebook per il lancio di nuovi prodotti, per tanto, è stato uno dei primi publisher a testare gli Instant Articles (IA). Ma ha smesso di usarli subito dopo un test effettuato lo scorso autunno e attraverso il quale “abbiamo scoperto che i link diretti al sito monetizzavano meglio di questi ultimi”, ha dichiarato a Digiday Kinsey Wilson, evp of product and technology al Times.
La stessa ha rimarcato anche come gli utenti tendessero a concludere una sottoscrizione più volentieri sbarcando direttamente sul sito piuttosto che tramite Facebook. In sostanza l’utilizzo degli Instant Articles per il Times, semplicemente è inutile. Ma le cose non cambiano molto neppure per editori come LittleThings che dipendono da Facebook e dal quale proviene più o meno l’80% del loro traffico. Anche loro spingono a mala pena il 20% dei contenuti tramite IA.
L’entusiasmo si è raffreddato anche altrove. Un vero e proprio voltafaccia rispetto a due anni fa, quando i publisher scalpitavano per unirsi alla festa. A Ottobre 2015, ad esempio, Cosmopolitan era in lizza tra i marchi di Hearst selezionati per il lancio dei contenuti tramite IA. Oggi, nessun suo brand fa parte del programma, avendo realizzato che l’adesione non comporta un margine interessante di monetizzazione.
Le piattaforme di business news Forbes e Quartz sono altri due grandi assenti tra le fila degli articoli istantanei sul social network. Forbes li aveva sperimentati l’anno scorso e li ha abbandonati per la stessa motivazione condivisa dagli altri publisher. Anche Condé Nast fa un uso parsimonioso degli IA con tutti i suoi brand, poiché ritiene più efficace guidare gli utenti direttamente verso il sito.
Quando l’entusiasmo è iniziato a scemare
L’efficacia degli Instant Articles è apparsa controversa sin da quando Fecebook ha lanciato, nel 2015, una feature per il caricamento veloce degli articoli mobile, allo scopo di mantenere gli utenti più a lungo sulla piattaforma. Con gli IA gli articoli dei publisher, segnalati dal simbolo di un fulmine, si caricano ancora più velocemente. Ma come emerge chiaramente dalle dichiarazioni di molti editori, i cari vecchi link che portavano indietro gli utenti sul sito monetizzavano meglio e, inoltre, si caricavano anche velocemente da mobile. E come se non bastasse la fruizione istantanea non è semplice da misurare in termini di engagement.
Facebook, quindi, ha cercato di essere più propositivo rispetto alle preoccupazioni degli editori. Sta per lanciare, infatti, un’unità specifica per le call-to-action che permette ai publisher di inserirle direttamente negli Instant Articles, come ad esempio la possibilità di iscriversi alla newsletter o cliccare il pulsante like alla loro pagina sul social. La feature è stata testata con oltre 100 editori dall’inizio di quest’anno. Al momento sono in fase di test con The Washington Post, Bild e The Telegraph, l’inserimento di trial per la registrazione di un abbonamento e dei promo per l’installazione delle app. Ma, l’anno scorso, il mercato pubblicitario è diventato più competitivo, costringendo molti editori a spingere maggiormente gli utenti verso la sottoscrizione. E, su questo piano, Facebook è ancora lontano dall’essere un valido interlocutore. Al di là del processo di sottoscrizione digitale gratuito negli Instant Article, non si è parlato di lasciare che gli editori inseriscano i trial per i loro abbonamenti a pagamento, tanto meno della possibilità di tracciare una linea temporale per farlo. In sostanza, Facebook non ha ancora una funzione che permetta l’inserimento di un paywall negli articoli istantanei. Ci sono anche molti dettagli su cui lavorare in tema di “Instant subscription signup”, ad esempio chi intratterrà la relazione con il consumatore? Che dati otterrà il publisher e come saranno suddivise le revenue? “Il diavolo è nei dettagli” commenta Wilson.
Intanto, un rappresentante di Facebook ha dichiarato che con le sottoscrizioni digitali gratuite la relazione con l’utente passa all’editore nel momento in cui quest’ultimo si iscrive.
Per altri publisher che non dipendono strettamente dalle sottoscrizione, come accade invece per il New York Times, o che hanno business di ad sales diretti e lucrativi, Facebook Instant è un mezzo ancora utile.
C’è anche chi come il Washington Post, sebbene abbia bisogno di spingere sulle sottoscrizioni, ha scelto la via degli IA poiché garantiscono una migliore user experience. Inoltre, uno degli editori che sta testando la funzione di call to action, Slate, si è dichiarato entusiasta del prodotto, dicendo che ha guidato il 41% delle iscrizioni alla newsletter e che ha intenzione di estenderla anche ad altre newsletter e all’app. Gli editori sono ancora desiderosi di mostrare buona volontà con Facebook. Lo stesso Wilson ha sottolineato che nonostante l’esperienza negativa del Times con Instant la decisione di non utilizzarli non sia necessariamente irreversibile.