We Are Social ha individuato sei trend per orientarsi e orientare la comunicazione nel 2020

We Are Social ha presentato il 7  novembre il “GPS” annuale

È stato pubblicato l’atteso Think Forward Report 2020 che spiega quali sono i sei trend per orientarsi e orientare la comunicazione nel 2020. Sarà un anno che vedrà internet e i Social regolamentarsi ulteriormente rendendo più tortuose, ma anche più motivanti, le strade del marketing.

Ecco i sei trend della comunicazione 2020:

ThinkForward_2020

  1. Added Value.
    Ha a che fare con il crescente riconoscimento – a livello di proprietà intellettuale, stile e creatività originali – che i contenuti dei creator stanno ottenendo, in primis dalle relative community. I brand devono stare ora molto più attenti che in passato nel non sfruttare ma coltivare questi talenti, per non generare rigetto da parte di chi li segue e sostiene.
  2. Social Self-Care.
    Ci racconta di quanto le persone siano oggi molto più attente alla loro mental health e di come, di conseguenza, si approccino in maniera più misurata e consapevole al consumo digital. I brand, come massivi creatori di contenuti, devono essere capaci di veicolare, attraverso le proprie campagne, “qualità e valore emozionali” per non esser tagliati fuori.
  3. Bad Influence.
    Tratta, naturalmente, di influencer e della loro lucentezza che, in alcuni casi, si sta offuscando. Perché una volta erano un faro di autenticità, competenza, rilevanza, ma poi col tempo – diventando molti di essi “media di massa” – le maglie si sono allargate lasciando passare un po’ di tutto. Le persone ne sono consapevoli e divengono giorno dopo giorno più attente rispetto a pertinenza e qualità di ciò che essi veicolano.
  4. Overt Privacy.
    I Social: da grande palcoscenico a stanza privata. Dopo anni di ultra-esposizione le persone sono stanche di apparire “troppo” sui canali e venire, di conseguenza studiate e “sorvegliate”. Stanno riprendendo il controllo della loro presenza, cancellando le impronte lasciate lungo il cammino digital. Nascondendosi dai brand, dalle piattaforme e pure dalle proprie cerchie più ampie. Ai brand si presenta la sfida di essere più discreti, riservati. Di capire come chiedere il permesso.
  5. Running Commentary.
    Che, brevemente, parla di “lunghezza narrativa”. I Social, lo abbiamo detto e ridetto, sono maturi: la brevità non è più la chiave del successo. Piuttosto, complessità e articolazione rispondono meglio al bisogno di argomentazione e opinione che le persone manifestano in certi ambiti. I brand, con trasparenza e onestà, devono cercare di individuare, e poi avere un punto di vista, rispetto ai topic che interessano davvero alle loro audience. I meme continuano a funzionare ma non bastano più.
  6. Cultural Crossfit.
    La logica secondo cui le persone siano un insieme di interessi verticali separati ed ermetici è decisamente superata. La fluidità è la realtà. È normale farsi guidare da apertura e collaborazione, soprattutto in Rete. Le culture, le categorie, le verticalità e i generi vengono costantemente mescolati e vissuti senza paratie stagne. I brand non solo devono sposare questa attitudine, ma spingersi pure oltre, in luoghi, con linguaggi e partner mai immaginati prima.

Bruno Tecci, Head of Strategy di We Are Social, ha commentato:

Bruno_Tecci

“Se nella versione 2019 del nostro report abbiamo tracciato il perimetro della zona d’impatto di determinati aspetti legati all’evoluzione (e all’uso) sia dei social sia della tecnologia digitale, quest’anno diamo le proporzioni dell’impatto. E quindi della sfida che si presenta a chi comunica. Che deve adattarsi, innovare e creare sempre nuove strategie per legarsi alle proprie audience, soprattutto le più giovani, fatte di persone non più lì, immobili e disponibili, pronte a essere raggiunte da messaggi qualsiasi. Per questo i brand, al di là di ogni granitico brand positioning devono aver chiaro qual è il proprio communication role, qual è la propria maniera di ‘stare’ all’interno della società, la propria chiave per essere un brand activist”.