Il tracciamento degli adblock con Google Analytics

Già da qualche anno un grosso spauracchio per i publishers di tutto il mondo è rappresentato dagli AdBlocker. Si tratta di software che bloccano la visualizzazione dei messaggi pubblicitari, permettendo agli utenti una migliore usabilità dei siti web: senza banner e/o popup, infatti, il caricamento delle pagine risulta più veloce e il contenuto non è parzialmente oscurato come spesso accade).
Il tutto ovviamente a scapito del malcapitato editore: un vero dramma, specie per quei siti totalmente dipendenti dagli introiti pubblicitari.
L’attivazione di un AdBlocker su un determinato sito non è del tutto consapevole da parte di un visitatore: una volta terminata l’installazione, lo strumento agirà automaticamente su tutti gli indirizzi visitati dall’utente, che con il tempo dimenticherà anche di averlo installato, abituandosi semplicemente alla fruizione senza pubblicità. L’unico reminder ci arriva su quei portali più smaliziati (di solito sui siti di streaming) che vincolano la visione del contenuto alla disattivazione di AdBlock.
Insomma ci troviamo di fronte a un nuovo scoglio per l’editoria on line: gli utenti, già storicamente restii a pagare per usufruire dei contenuti sul web, ora vogliono farlo anche senza essere disturbati dalla pubblicità. Da qui la preoccupazione dei publishers: se tali strumenti si diffondessero in maniera capillare, cosa accadrebbe? Costringerebbe probabilmente a rivedere radicalmente il concetto di editoria on line, passando a paradigmi oggi solo parzialmente esplorati e spesso con scarso successo, come i contenuti a pagamento per le testate giornalistiche. Ma quanto è effettivamente concreto questo rischio? Leggendo alcune delle ricerche realizzate sul tema negli ultimi 12 mesi, sembrerebbe molto.
Nell’analisi condotta a fine 2015 da PageFair e Adobe  (“The cost of ad blocking”), ad esempio, emerge un quadro piuttosto preoccupante. Secondo la ricerca, negli Stati Uniti il 16% degli utenti utilizza un software per bloccare gli annunci e – soprattutto – l’utilizzo è cresciuto del 41% rispetto all’anno precedente.
In Europa la crescita è del 35%, per un totale di 77 milioni di utenti attivi.  La cosa è meno impattante, a quanto sembra, per i dispositivi mobile: secondo una ricerca di Deloitte Global solo lo 0,3% degli utenti mobile farà uso di ad-blocker entro la fine del 2016.
Però, al di là delle statistiche globali che ci aiutano a interpretare e perimetrare un fenomeno, la reale incidenza sul nostro business possiamo misurarla solo in un modo: semplicemente tracciando ciò che avviene sulle nostre web properties, utilizzando gli strumenti di Web Analytics.  Ed è per questo che in BizUp abbiamo testato il tracciamento di AdBlock con Google Analytics, seguendo l’interessante guida pubblicata di recente da Avinash Kaushik sul suo blog.
Per chi ha familiarità con lo strumento il meccanismo di base in realtà è molto semplice: viene integrato su tutte le pagine del sito uno script in grado di verificare o meno l’attivazione di un tool di AdBlock. Ad esso viene associata una dimensione custom, creata ad hoc da pannello di Google Analytics e aggiunta allo script di base già presente sul sito, come nell’esempio di seguito:
ga(‘create’, ‘UA-XXXXX-Y’, ‘auto’);
ga(‘require’, ‘adblockTracker’, {dimensionIndex: XY});
ga(‘send’, ‘pageview’);
Ovviamente il codice UA va personalizzato in base alla vostra proprietà Analytics, mentre il dimensionIndex in base al numero sequenziale della dimensione che avrete creato precedentemente su GA.
(Clicca sull’immagine per ingrandirla)
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Il tracciamento di adblock con Google Analytics: adblock disabilitato (0) e adblock abilitato (1).
Con l’impostazione, infine, di un semplice report personalizzato abbiamo così la possibilità di monitorare quanti utenti utilizzano AdBlock durante la navigazione dei nostri portali.
Abbiamo fatto tutte le verifiche e il tracciamento funziona alla perfezione, ora non resta che aspettare i dati …