Mobile, programmatic e dati protagonisti dell’Advertising Week Europe

Mobile, programmatic e dati protagonisti dell’Advertising Week Europe

L’Advertising Week Europe è iniziata. E il mobile è già il grande protagonista.

L’Advertising Week ha aperto il 20 marzo i battenti del Picturehouse Central di Londra e sono cominciate subito le batterie di panel nei diversi palchi allestiti all’interno del cinema. Al The Guardian Stage si parte con il programmatic, in particolare con una tavola rotonda che ha ospitato William Jones, Director Business Development di Purch, Evan Simeone, SVP, Product Management di PubMatic, Cristina Constandache, VP Global Partnerships di Viber, e Ian Haworth Executive Creative Director UK & EMEA di Wunderman.
Il segmento programmatic continua la sua crescita significativa, con budget in aumento grazie alla precisione sempre maggiore nella costruzione di target. «È salita la frequenza con cui le persone cercano prodotti su internet, e questo ci concede una mole di dati molto utile per generare dei segmenti. I digital team delle aziende, poi, diventano sempre più competenti. La cultura digitale viene approfondita anche fuori dai trading desk, e sono gli stessi inserzionisti a voler aumentare gli investimenti in programmatic, specialmente su mobile», spiega Jones. Le informazioni su location e audience sono quelle che «fanno davvero la differenza: fanno crecere il valore delle inserzioni, e il cpm delle campagne mobile», aggiunge Simeone.
L’header bidding è stato un tema caldo quanto controverso negli ultimi anni, e continua a dividere gli animi sebbene non ci sia dubbio che è «un grande strumento di monetizzazione», continua Simeone. «Tutti lo adotteranno, la domanda è: quando?», continua. Tra i panelisti, però, c’è chi l’ha adottato qualche tempo fa, e ha deciso di “congelarlo” – come Jones – e chi – come Constandache – l’ha appena introdotto, ma è già in grado di dire che «sta andando forte, anche se non possiamo ancora fornire dati».
Caldo anche il “programmatic video”, talmente caldo che società come Purch hanno dovuto costituire una squadra da 200 elementi per la produzione di filmati all’interno dei quali inserire i preroll. «Il ROI creato sarà proporzionale alla bellezza dei contenuti», dice Jones. Viber invece ha puntato sull’outstream, «perché in questo modo abbiamo la possibilità idi generare più inventory video», ribadisce Constandache. I formati da proporre, comunque, «sono suggeriti dai dati. Servono a capire cosa preferiscono gli utenti, e possiamo elaborarli attraverso la nostra DMP e il nostro data team impegnato negli Stati Uniti, che ci fornisce le informazioni in 2 ore. In questo modo, poi, cerchiamo di collegare contenuti editoriali e adv in programmatic, in modo che gli articoli sfruttino le informazioni al loro interno per spingere le inserzioni», afferma Jones.
L’ingombranza di Facebook e Google è diventata ormai una domanda irrinunciabile nelle varie conferenze che si svolgono in giro per l’Europa. È possibile monetizzare al di fuori di essi? «In quanto publisher, dobbiamo concentrarci nel fare i contenuti migliori possibili. Meglio lavoriamo e più ai lettori piacerà leggere i nostri prodotti, anche senza passare dai ‘big boys’», risponde Jones. «In realtà c’è spazio per tutti – dice invece Constandache -. Noi siamo presenti anche nei Paesi in cui Google e Facebook non sono così forti. Ogni business, poi, ha bisogno di diversificare le destinazioni dei suoi investimenti. I piccoli publisher dovranno fare molta fatica per rinunciare ai servizi che offrono quei due, ma i grossi editori possono trovare alternative altrettanto valide da accostargli».